From a conversation with T. Cole Rachel
The Creative Independent

Ute Lemper is a German singer and actress who has spent the past three decades working on stage, in films, and as a recording artist. She has recorded over 30 records and is known for her interpretations of artists such as Kurt Weill, Berthold Brecht, Edith Piaf, Jacques Brel, Léo Ferré, Jacques Prevert, and Nino Rota. She is currently preparing a new one-woman show, Rendezvous with Marlene, which is based on a three-hour phone call between Marlene Dietrich and Ute that took place in Paris in 1988. Here, Lemper discusses the process behind putting together a new show, the comfort of creating and developing your own material, and the moral obligations involved with being an artist….

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By Robert Viagas
Playbill, 8 January, 2018

German singer and actor Ute Lemper returns to Café Carlyle in New York City February 27 to March 3 with an all-new show, Rendezvous With Marlene, featuring songs made famous by Marlene Dietrich.

Lemper recounts the life of the iconic German-born film star (1901–1992) along with singing songs from all chapters of Dietrich’s life—from the Berlin cabaret years of the 1920s through her movie career to her live shows in the 1950s–1970s and her Burt Bacharach collaborations. Dietrich also made two concert appearances on Broadway, in 1967 and 1968…

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Üte Lemper, en el Teatro Real – Javier del Real

Date: 30 October, 2017
Publication: ABC (Cultura)
By: Julio Bravo

La cantante alemana ofreció en el Teatro Real su espectáculo ‘Último tango en Berlín’

Hay algo irresistiblemente magnético en Ute Lemper (Münster, Alemania, 1963); algo en su mirada erizada que es al mismo tiempo, intimidante e imponente. Es complicado definirla como artista. Salvando épocas, géneros y, también, personalidades y calidades, su voz tiene, como la tenía la de Maria Callas, algo inaprensible, algo resbaladizo. Su voz es por momentos una cascada de sonidos salvajes;en otros una envolvente seda. Se sumerge con evidente heterodoxia en los territorios de la música francesa y alemana de la primera mitad del siglo XX para lograr resultados que no dejan indiferente a nadie. A algunos –lo confieso: a mí– los hechiza. A otros –se podían escuchar sus comentarios tras su concierto del domingo en el Teatro Real– los irrita. Pero es difícil que pueda dejar indiferente a nadie.

Hacía once años –lo dijo ella misma– que Ute Lemper no pisaba el escenario del Teatro Real. Sí ha estado en este tiempo en otros escenarios de la capital: en 2010 ofreció junto a Mario Gas, en los teatros del Canal, un espectáculo basado en los poemas de Charles Bukowski. En esta ocasión, ha presentado un viaje musical titulado ‘Último tango en Berlín’ en el que ha recorrido a los autores que han marcado su carrera: Frederick Hollaender, Georges Moustaki, Kurt Weill, Bertolt Brecht, Astor Piazzolla, Jacques Brel, Norbert Schultze, Leo Ferré y Serge Gainsbourg.

El de Ute Lemper es un viaje por universos vaporosos y umbríos, canallas, y es en ellos –especialmente en el alemán– donde se desenvuelve con mayor naturalidad. Es en estas canciones teñidas de clandestinidad y misterio donde adquiere carta de naturaleza su voz escurridiza y su garganta caleidoscópica. Con una formación corta pero absolutamente acomodada a la cantante –piano, bandoneón, contrabajo y violín–, Ute Lemper pisa con firmeza tanto los temas más desbaratados como ‘Lola’, de Hollaender, o el vibrante ‘Die Moritat von Mackie Messer’ con el que cerró la velada (y en el que incluyó compases de otros temas, como ‘All that Jazz’, del musical ‘Chigago’);hasta el repertorio más conmovedor, como el singularmente emocionante ‘Ne me quitte pas’, de Jacques Brel.

‘Último tango en Berlín’
Intérpretes: Ute Lemper, cantante. Vana Gierig, piano. Víctor Villena, bandoneón. Romain Lecuyer. Cyril Garac, violín.
Iluminación: Nicolás Fischtel. Teatro Real, Madrid

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Date: 21 novembre 2017
Publication: Corriere dello Spettacolo
By: Paola Pini

Songs for Eternity è qualcosa di più di un semplice recital di canzoni scritte nei ghetti o nei campi di concentramento e di sterminio.

Ascoltare Ute Lemper cantare e raccontare assieme a cinque musicisti provenienti da diverse parti del mondo (Vana Gierig, pianoforte; Daniel Hoffman, violino; Gilad Harel, clarinetto; Roman Lecuyer, contrabbasso; Victor Villena, bandoneon), ridà vita alle opere proposte, recuperate con fatica e dedizione e a chi le ha scritte, cantate in quei luoghi, custodite e ricostruite in seguito, se sopravvissuto.

Come giustamente ha detto lei stessa, “chi non c’è stato non può capire”, ma la sua splendida voce e i gesti eleganti e misurati che la sostengono uniti a una determinazione e a un rigore chiari e palpabili, danno corpo a quelle ombre e gli spettatori ne percepiscono la presenza discreta in sala, sedute loro accanto.

Si sentono tante lingue, perché Ute Lemper alterna con naturalezza l’inglese al tedesco, l’italiano allo yiddish e tutto è ugualmente comprensibile, come se la parola fosse un’ulteriore modo per esprimere il suono musicale.

L’artista tedesca, nata dopo la Seconda Guerra Mondiale, è padrona assoluta della scena che occupa dimostrando chiaramente di rispondere a un imperativo categorico, ad una precisa presa di responsabilità e attraverso un repertorio emotivamente forte che con amore interpreta, riesce a ridar dignità a chi è passato attraverso orrori inenarrabili e grazie alla musica, le parole e i racconti creati in quei luoghi più che bui, richiama idealmente chi li aveva pensati, cantati, ricordati dopo essere sopravvissuto e tornato alla libertà.

Perché anche a Terezin e ad Auschwitz il desiderio di vivere era presente; anche lì c’era chi cantava delle ninne nanne. In particolare a Terezin, il “ghetto modello” usato dai nazisti per far propaganda ed offrire al mondo intero l’alibi che permettesse di credere che gli ebrei vivevano beati grazie alla benevolenza germanica, la resistenza contro la morte e l’annientamento dell’anima passava attraverso la musica creata da Victor Ullman, Carlo Taube, Ilse Weber e altri, donne e uomini, che attraverso di essa volevano mostrare a se stessi e agli altri la fiducia in un futuro di nuovo degno per l’Uomo.

La musica, se non viene eseguita è come se non fosse mai stata scritta; le persone, se non vengono ricordate per quello che erano e per ciò che fecero, scompaiono nell’oblio. Continuare a suonare queste canzoni permette a chi le esegue e a chi le ascolta di entrare in una dimensione speciale,

un po’ come in Fahrenheit 451 il romanzo di Ray Bradbury, in cui i ribelli, che si oppongono alla distruzione dei libri attraverso il fuoco, prendono su di sé il ruolo di testi viventi, testimonianza reale di una memoria antica per mantenerla viva.

Il collegamento richiama alla memoria il tanto ripetuto e purtroppo inascoltato monito di Heinrich Heine: “Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini “. Troppo facile riempirsi la bocca di citazioni e poi non riuscire a vedere quanto anche oggi ci si trovi sull’orlo del baratro, come allora di nuovo inconsapevoli. Nella storia è spesso presente il legame fra il pensiero scritto, il fuoco e le persone, a volte più labile, a volte molto stretto e non c’è nessuna differenza tra il distruggere un libro o uno spartito nato dal desiderio di esprimere il proprio animo per consolare il presente e sperare nel futuro proprio e della civiltà umana attraverso racconti, poesie, canzoni.

Ecco allora che l’opera di Ute Lemper, il suo voler ridar vita a tutto ciò va ben al di là di qualcosa di “interessante” o di “bello”: è azione civile, seria, profonda, vera.

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