Date: 21 novembre 2017
Publication: Corriere dello Spettacolo
By: Paola Pini

Songs for Eternity è qualcosa di più di un semplice recital di canzoni scritte nei ghetti o nei campi di concentramento e di sterminio.

Ascoltare Ute Lemper cantare e raccontare assieme a cinque musicisti provenienti da diverse parti del mondo (Vana Gierig, pianoforte; Daniel Hoffman, violino; Gilad Harel, clarinetto; Roman Lecuyer, contrabbasso; Victor Villena, bandoneon), ridà vita alle opere proposte, recuperate con fatica e dedizione e a chi le ha scritte, cantate in quei luoghi, custodite e ricostruite in seguito, se sopravvissuto.

Come giustamente ha detto lei stessa, “chi non c’è stato non può capire”, ma la sua splendida voce e i gesti eleganti e misurati che la sostengono uniti a una determinazione e a un rigore chiari e palpabili, danno corpo a quelle ombre e gli spettatori ne percepiscono la presenza discreta in sala, sedute loro accanto.

Si sentono tante lingue, perché Ute Lemper alterna con naturalezza l’inglese al tedesco, l’italiano allo yiddish e tutto è ugualmente comprensibile, come se la parola fosse un’ulteriore modo per esprimere il suono musicale.

L’artista tedesca, nata dopo la Seconda Guerra Mondiale, è padrona assoluta della scena che occupa dimostrando chiaramente di rispondere a un imperativo categorico, ad una precisa presa di responsabilità e attraverso un repertorio emotivamente forte che con amore interpreta, riesce a ridar dignità a chi è passato attraverso orrori inenarrabili e grazie alla musica, le parole e i racconti creati in quei luoghi più che bui, richiama idealmente chi li aveva pensati, cantati, ricordati dopo essere sopravvissuto e tornato alla libertà.

Perché anche a Terezin e ad Auschwitz il desiderio di vivere era presente; anche lì c’era chi cantava delle ninne nanne. In particolare a Terezin, il “ghetto modello” usato dai nazisti per far propaganda ed offrire al mondo intero l’alibi che permettesse di credere che gli ebrei vivevano beati grazie alla benevolenza germanica, la resistenza contro la morte e l’annientamento dell’anima passava attraverso la musica creata da Victor Ullman, Carlo Taube, Ilse Weber e altri, donne e uomini, che attraverso di essa volevano mostrare a se stessi e agli altri la fiducia in un futuro di nuovo degno per l’Uomo.

La musica, se non viene eseguita è come se non fosse mai stata scritta; le persone, se non vengono ricordate per quello che erano e per ciò che fecero, scompaiono nell’oblio. Continuare a suonare queste canzoni permette a chi le esegue e a chi le ascolta di entrare in una dimensione speciale,

un po’ come in Fahrenheit 451 il romanzo di Ray Bradbury, in cui i ribelli, che si oppongono alla distruzione dei libri attraverso il fuoco, prendono su di sé il ruolo di testi viventi, testimonianza reale di una memoria antica per mantenerla viva.

Il collegamento richiama alla memoria il tanto ripetuto e purtroppo inascoltato monito di Heinrich Heine: “Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini “. Troppo facile riempirsi la bocca di citazioni e poi non riuscire a vedere quanto anche oggi ci si trovi sull’orlo del baratro, come allora di nuovo inconsapevoli. Nella storia è spesso presente il legame fra il pensiero scritto, il fuoco e le persone, a volte più labile, a volte molto stretto e non c’è nessuna differenza tra il distruggere un libro o uno spartito nato dal desiderio di esprimere il proprio animo per consolare il presente e sperare nel futuro proprio e della civiltà umana attraverso racconti, poesie, canzoni.

Ecco allora che l’opera di Ute Lemper, il suo voler ridar vita a tutto ciò va ben al di là di qualcosa di “interessante” o di “bello”: è azione civile, seria, profonda, vera.

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Publication: Il Piccolo
di: Maria Cristina Vilardo

Sabato, al Rossetti, l’artista tedesca interpreta “Songs for Eternity”, brani pieni di vita, speranza, ironia.

«È stato un momento incredibile essere a Berlino, agli inizi di novembre, ed eseguire questo repertorio per la prima volta in Germania nella sinagoga della vecchia Rykestrasse, una delle pochissime sinagoghe a cui i nazisti non diedero fuoco perché era circondata dalle case e non volevano incendiare il quartiere». Ute Lemper considera una missione il suo progetto musicale dedicato alle canzoni dei ghetti e dei campi di concentramento. Sabato la cantante e attrice tedesca porterà “Songs For Eternity” al Politeama Rossetti, alle 20.30, con Vana Gierig al pianoforte, Daniel Hoffman al violino, Gilad Harel al clarinetto, Romain Lecuyer al basso, Victor Villena al bandoneon.

Fu il pianista e compositore Francesco Lotoro, votato alla ricerca delle musiche scritte nei campi di sterminio, a invitare Ute Lemper a cantarle a Roma il 27 gennaio 2015, il giorno della liberazione di Auschwitz 70 anni fa. Un’altra fonte preziosa è stata l’amica israeliana Orly Beigel, figlia di un sopravvissuto all’Olocausto, che le ha donato la collezione di canzoni di Vevel Pasternak del 1948 e la raccolta di Ilse Weber, autrice di canzoni e poesie per bambini. Ai quali, nei campi di concentramento, chiedeva di respirare profondamente sotto le docce e di cantare a voce alta, perché inalare in questo modo il gas avrebbe reso l’agonia più breve.

“Songs For Eternity” racchiude canzoni che celebrano la vita, il matrimonio, e canzoni di ribellione, come un tango intenso, venato di sarcastica ironia sulla vita ad Auschwitz, ma ci sono anche canzoni di speranza, come “Shtiler, shtiler”, dello scrittore e poeta yiddish Shmerke Kaczerginsky di Vilna, le cui musiche furono composte dall’allora undicenne Aleksander Volkoviski, divenuto poi un grande pianista sotto il nome di Alexander Tamir.

«Tutte le canzoni hanno una storia incredibile, – dice Ute Lemper – ognuna mi tocca profondamente il cuore. E ognuna è importante per me, a cominciare dalle composizioni di Viktor Ullmann, internato a Terezín, ossia Theresienstadt, dove furono deportati molti artisti, scrittori, filosofi e soprattutto compositori, musicisti, spesso grandi professionisti. I nazisti sapevano molto bene che la cultura dominante all’epoca, in Germania, era principalmente ebraica. Perciò incoraggiare questi artisti a continuare a creare è stata una crudeltà freddamente calcolata, in un totale disprezzo per l’essere umano perché gran parte di loro non ritornarono vivi dai lager. Bisogna sempre rimanere nella consapevolezza che il terribile crimine dell’Olocausto fu eseguito in maniera burocratica e organizzata».

Sposata a un uomo ebreo, Ute Lemper vive da vent’anni a New York, dove era inevitabile assorbire la forte presenza della cultura ebraica. «Anche se io e mio marito non siamo religiosi, i nostri figli sono cresciuti in questa cultura. Io sono nata dopo la guerra, negli anni ’60, e ho sempre provato un immenso dolore per l’Olocausto. Porto con me il peso e la tristezza, fa parte della mia identità tedesca. Ed è una mia responsabilità, come tedesca, passare questo messaggio al nuovo millennio, alle nuove generazioni, perché la velocità della storia è così brutale che i giovani non si rendono conto della vicinanza dell’Olocausto, accaduto settant’anni fa, il tempo di una sola generazione. Migliaia di persone oggi fuggono da guerre religiose, dal terrore, aspettando condizioni di vita migliori perché non hanno il privilegio di essere nate in una società di pace e dignità. Se durante la guerra tanti ebrei non avessero avuto l’opportunità di scappare, l’Olocausto sarebbe stato ben peggiore. Quindi penso che dinanzi alla migrazione dei popoli è importante riflettere con un occhio al passato, agli anni del Nazismo e dell’Olocausto». “Songs For Eternity fa parte di una rosa di suggestivi recital che la Lemper propone, fra cui spicca anche Paulo Coelho. «”The 9 Secrets” – conclude – è stato il terzo progetto poetico, dopo quelli su Charles Bukowski e Pablo Neruda. È incredibilmente bello e spero di poter continuare a portarlo anche in Italia. Ho estratto dal libro di Coelho “Il manoscritto ritrovato ad Accra” la prosa filosofica e l’ho messa in musica. È una sorta di viaggio magico, denso di pensieri che ispirano. Un progetto unico, molto raro oggi».

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Berliner Morgenpost, 20 October, 2017
By: Ronald Klein

Ute Lemper singt Lieder, die in den Konzentrationslagern und Ghettos entstanden.

Mit der Interpretation von Kurt-Weill-Songs wurde Ute Lemper 1986 von Kritik und Publikum gleichermaßen gefeiert. Ein Jahr später war sie an dem Album „Entartete Musik“ beteiligt, das Werke von jüdischen Komponisten enthält. Einige von ihnen, etwa Erich Wolfgang Korngold oder Mischa Spoliansky, gingen nach der Machtergreifung der Nationalsozialisten ins Exil. Andere, wie Viktor Ullmann, wurden vom Regime interniert und schließlich ermordet….

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Here are some photos by Yan Revazov from the performance:

Review by: 

Wilkommen, bienvenue, welcome (and of course, ‘Hullawrerr Chinas!’, for any visitors from Glasgow), meine damen und herren. Tonight, this part of Edinburgh may journey through space and time to the Wiemar Republic, or the Paris of Piaf? Passports are strictly optional.

Ute Lemper last graced an Edinburgh stage at a packed Usher Hall during the 2014 International Festival. Tonight, the surroundings are much more intimate, cabaret tables with candles. This is to be an up close and personal performance. Goody.

Preceded by her three piece band (on piano, double bass and accordion), Lemper enters the arena, opening with Want to Buy Some Illusions, followed by Falling in Love Again, in its original German version…

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